In un paesaggio punteggiato dal candore degli stazzi assolati, inizia la storia della civiltà che li abitò. Le genealogie delle prime famiglie palaesi si intrecciano all’ombra dei ginepri piegati dal vento di maestrale, lungo il corso del fiume Liscia. Di lì a breve si sarebbero trasferite in paese, in Lu Palau, a fare tuffi dalla tegghja di Palau Vecchio, la spiaggia di tutti.
Dalla cucina provengono densi vapori, il latte bolle scosso dal movimento ipnotico della bulia che come in un rito alchemico lo trasforma in miciuratu, brocciu, casgiu. E così nel Museo Etnografico l’odore dei formaggi è evocato da li fulculi esposte, il profumo del caffè appena tostato rivive nei tostini appesi accanto alla ciminea, mentre lu baliri in sughero, una volta colmo di acqua fresca, campeggia su lu balastragghju. Una busciaccara rammenta che poche erano le distrazioni della donna gallurese sempre indaffarata nel suo ruolo di amministratrice, forse solo una tabacchera, unico piacere dalle fatiche del giorno, insieme a quel mondo misterioso fatto di amuleti e di cristiana devozione.
Torchi, aratri e gioghi custoditi nel Museo Etnografico ricordano che nel frattempo gli uomini s’impegnavano alacremente con i consueti lavori nei campi. Il duro ciclo delle stagioni spingeva tutti, uomini e donne, ad attendere con trepidazione il periodo dei matrimoni e delle feste campestri, imperdibili occasioni di socializzazione al ritmo dei giri di scottis.