Il carnevale di Bosa, detto “Karrasegare Osinku” è unico nel suo genere. Si distingue per le sue manifestazioni parodistiche, presentandosi come un inno alla libertà e al divertimento. In passato il carnevale aveva inizio la notte di Capodanno, con l’apertura delle sale da ballo. La danza infatti costituiva sin dall’antichità una delle più importanti forme di divertimento, cui prendeva parte l’intera comunità bosana, assumendo un evidente significato di coesione sociale. Le feste e i balli proseguivano poi tutte le domeniche fino alla Quaresima.
Oggi i giorni culminanti del Karrasegare sono il giovedì grasso, la domenica, il lunedì e il martedì di carnevale. A questi si aggiunge il giorno della “Questua di Lardazholu”, che cade il giovedì che precede il giovedì grasso. Durante questa giornata le maschere girano per le case del paese intonando canti della tradizione sarda oppure anche canti improvvisati, che in genere narrano, con versi ironici e volgarità, le vicissitudini più scandalose di alcuni dei compaesani. In cambio delle loro esibizioni essi ricevono in dono vari alimenti (per esempio salsiccia, formaggio, frutta o dolci).
Il giorno più importante del carnevale è però il martedì, che vede il coinvolgimento e la partecipazione di tutta la comunità. Protagonisti della giornata sono la maschera del lamento funebre (detto “s’attittidu”) e quella di “Gioldzi”.
Le maschere de “s’attittidu” sono vestite come delle vedove, con una lunga gonna nera, un corsetto e un ampio scialle nero con le frange, e hanno il viso coperto dalla fuliggine (ottenuta bruciando il sughero). Le “Attittadoras”, piangono la morte di “Gioldzi” (il re del carnevale), il quale è raffigurato da un bambolotto o pupazzo fatto di stracci e in genere privo di braccia o di gambe; sfilano per le strade del paese implorando le donne non mascherate perché allattino il piccolo “Gioldzi” che tengono in braccio. Sono evidenti il carattere satirico e le allusioni sessuali.
La sera, dopo la sfilata dei carri allegorici, le Attittadoras scompaiono e modificano i loro costumi, trasformandosi nella maschera di “Gioldzi”. Questa fa parte della categoria delle maschere in bianco, che rappresentano gli spiriti del carnevale che sta per terminare. Il costume infatti è costituito da un mantello bianco, realizzato con delle lenzuola, e un cappuccio ottenuto con la federa di un cuscino; il viso di “Gioldzi” è dipinto di nero con la fuliggine. Tra le mani reca un cesto tradizionale in vimini con all’interno una candela, oppure una lanterna.
Nella notte le maschere di “Gioldzi” vagano senza sosta per le vie del paese, come fantasmi, cercando di catturarsi a vicenda, e creando uno spettacolo davvero suggestivo. Quando qualcuno riesce a catturare “Gioldzi” i pupazzi che lo raffigurano vengono bruciati in un grande falò, segnando simbolicamente la fine del carnevale.